Ascolta qui: Contemplatio (accompagnamento di cetra)
«È risaputo che la pazienza retta, degna di lode e del
nome di virtù, è quella per la quale con animo equo tolleriamo i mali, per non
abbandonare con animo iniquo quei beni, per mezzo dei quali possiamo
raggiungere beni migliori. Pertanto chi non ha la pazienza, mentre si rifiuta
di sopportare i mali, non ottiene d’essere esentato dal male ma finisce col
soffrire mali maggiori. I pazienti preferiscono sopportare il male per non
commetterlo piuttosto che commetterlo per non sopportarlo; così facendo rendono
più leggeri i mali che soffrono con pazienza ed evitano mali peggiori in cui
cadrebbero con l’impazienza. Ma soprattutto non perdono i beni eterni e grandi,
quando non cedono ai mali temporanei e di breve durata poiché, come dice
l’Apostolo, i patimenti del tempo presente non meritano d’essere paragonati
con la gloria futura che si rivelerà in noi. Egli dice ancora: La nostra
sofferenza, temporanea e leggera, produce per noi in maniera inimmaginabile una
ricchezza eterna di gloria.
…Quando vedi qualcuno che soffre qualche male, non
metterti subito a lodarne la pazienza, che è messa in luce solo dalla
motivazione della pazienza. Se la motivazione è buona, la pazienza è vera. Se
la motivazione non è resa impura dalla cupidigia, allora la pazienza si
distingue da quella falsa. Quando la motivazione mira a un crimine, si fa un
grande errore a chiamarla pazienza. Infatti non tutti coloro che sanno qualcosa
posseggono la scienza; così non tutti coloro che patiscono qualcosa posseggono
la pazienza. Solo chi della passione si serve per il bene merita l’elogio della
vera pazienza e riceve la corona per la virtù della pazienza».
S. Agostino,
La pazienza
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