Nasce intorno
al 1217 a Bagnoregio, non lontano da Orvieto, nell’entroterra
laziale. Da ragazzo viene colpito da una grave malattia che fa ben poco
sperare; pure il padre, medico di professione, è reso impotente da tale
situazione. Interviene allora la supplica della madre che si rivolge
all’intercessione di san Francesco d’Assisi, da poco canonizzato. Ecco dunque
la prodigiosa guarigione.
Giovanni cresce e si inoltra nello studio,
affinando la sua già acuta intelligenza.
Lungo il suo periodo di studi a Parigi,
entra in contatto con i frati Minori, che lo colpiscono per la radicalità
evangelica e la semplicità di vita. Così, dopo il diploma di “Maestro d’Arti”,
affascinato dallo stile di vita dei frati, chiede di essere accolto nella
famiglia francescana. Scriverà in seguito ad un frate: «Confesso davanti a Dio
che la ragione che mi ha fatto amare di più la vita del beato Francesco è che
essa assomiglia agli inizi e alla crescita della Chiesa. La Chiesa cominciò con
semplici pescatori, e si arricchì in seguito di dottori molto illustri e
sapienti; la religione del beato Francesco non è stata stabilita dalla prudenza
degli uomini, ma da Cristo».
Nel 1243 Giovanni indossa
l’abito francescano, il saio, e prende il nome di frate Bonaventura. Frequenta
gli studi di teologia all’Università di Parigi sotto la guida di fra Alessandro
di Hales. Studia a fondo la teologia e la Sacra Scrittura, fino a diventare
dottore e maestro dell’Università parigina.
Nel frattempo, in quegli anni divampa
un’aspra polemica contro gli ordini Mendicanti (francescani e domenicani),
nella quale frate Bonaventura pone delle tesi a favore di questa nuova realtà
all’interno del mondo ecclesiale, rintuzzando ogni colpo basso sferrato dai
maestri secolari dello studio di Parigi, in particolare di Guglielmo di
Sant’Amore che definisce i “Mendicanti” degli “ipocriti” perché, più che
condurre alla vera fede, condurrebbero la gente alla superstizione.
Ma non ci sono solo i problemi “ad extra”.
Anche all’interno della famiglia francescana stessa, va sempre più
diffondendosi una dottrina per niente “ortodossa” di natura spirituale che si
rifà agli scritti di Gioacchino da Fiore, abate cistercense morto nel 1202.
Questa allettante dottrina sostiene un ritmo trinitario della storia: Antico
Testamento come età del Padre, Nuovo Testamento come tempo del Figlio e della
Chiesa e, infine, l’attesa del tempo dello Spirito. Molti francescani si
lasciano ammaliare (un nome su tutti: fra Gerardo da Borgo San Donnino) e
individuano il tempo dello Spirito nell’avvento della storia santa di Francesco
d’Assisi. Ecco che proprio fra Bonaventura, eletto ministro
generale dei Frati Minori il 2 febbraio 1257 – succedendo il dimissionario
frate Giovanni da Parma – si trova a fronteggiare questa delicata questione con
ponderata e motivata fermezza.
Per queste e per altre delicate
situazioni, fra Bonaventura mostra grande capacità di governo, insieme ad
una consistente abilità intellettuale, una vasta cultura, una buona propensione
al dialogo e una profonda ed intensa vita di preghiera e di unione con Dio, che
pervade anche le sue numerose opere teologiche e mistiche. Uomo colmo di virtù,
da ministro generale è molto attento a ciascun frate e spesso si trova in
viaggio per visitare e incontrare anche i frati più lontani. La sua attenzione
e il suo farsi servo per gli altri, non incide affatto talvolta sulla
sua fermezza nel prendere decisioni che non sempre riscontrano l’unanimità
della fraternità. Come ministro generale, pone mano alle Costituzioni
dell’Ordine. Non compie un lavoro di rivoluzione, bensì un riordino delle già
esistenti “pre-narbonensi” (1239), arrivando alla redazione delle “narbonensi”,
approvate nel capitolo generale nel 1260 dove, tra l’altro, si fa’
assegnare il compito di scrivere una nuova biografia di san Francesco (la terza
ufficiale, dopo la prima e la seconda di fra Tommaso da Celano). Fra
Bonaventura scrive la “Legenda Maior”, a cui fa’ seguito la versione più breve,
chiamata “Legenda Minor”, più indicata per le esigenze liturgiche. La
caratteristica più evidente della “Legenda Maior” è che san Francesco viene
posto in rilievo come uomo che ha cercato con tutto il cuore Cristo. Il
Poverello di Assisi è un “Alter Christus”, poiché il desiderio di conformarsi
al Signore Gesù Cristo ha trovato nell’assisate un instancabile e strenuo
discepolo. Francesco, profondo ammiratore dell’umiltà dell’Incarnazione e della
carità della Passione, porta lui stesso i segni della Passione di Cristo, le
stigmate ricevute sul monte della Verna.
Anche attraverso la biografia di san
Francesco, si tratteggia con più chiarezza la spiritualità tutta
cristocentrica di Bonaventura. Acceso d’amore per l’Ordine dei Frati Minori e
pieno di zelo per la santa madre Chiesa, fra Bonaventura, nel 1273, viene
consacrato vescovo e nominato cardinale da Papa Gregorio X.
È un
raffinato teologo contemporaneo a san Tommaso d’Aquino. Entrambi
incidono pesantemente il pensiero teologico, non solo del XIII secolo, ma anche
quello a seguire. Ci sono brani tuttora attuali e di una freschezza che paiono
scritti oggi! Fra Bonaventura, dal canto suo, nell’analisi teologica,
pone l’accento sul primato dell’amore divino come fine ultimo dell’uomo, laddove
l’incontro con Dio è puro gaudio.
Degna di nota la ricognizione del corpo
di Sant’Antonio di Padova (1195-13 giugno 1231) nell’aprile del 1263
e il ritrovamento della “lingua incorrotta”, proprio in presenza di fra
Bonaventura, ministro generale.
Muore nel 1274 durante lo
svolgimento del II Concilio ecumenico di Lione.
Viene proclamato santo il 14 aprile
1482 da Papa Sisto IV con la bolla “Superna caelestis patria”.
DAGLI
SCRITTI
«Se ora
brami sapere come ciò avvenga (la comunione mistica con Dio) interroga la
grazia, non la dottrina; il desiderio, non l’intelletto; il gemito della
preghiera, non lo studio della lettera; lo sposo, non il maestro; Dio, non
l’uomo; la caligine, non la chiarezza; non la luce, ma il fuoco che tutto
infiamma e trasporta in Dio con le forti unzioni e gli ardentissimi affetti…
Entriamo nella caligini, tacitiamo gli affanni, le passioni e i fantasmi;
passiamo con Cristo Crocifisso da questo mondo al Padre, affinchè, dopo averlo
visto, diciamo con Filippo; ciò mi basta».
«Una
completa esposizione dei comandamenti del Decalogo si rese necessaria nella
condizione di peccato, perché la luce della ragione si era ottenebrata e la
volontà si era sviata».
«Sorgi,
anima amica di Cristo: poni le labbra là dove berrai con gioia alle fonti del
Salvatore».