sabato 9 novembre 2013

XXXII Domenica del Tempo Ordinario, Lc 20,27-38



 Il Signore è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. Dio non è un Dio dei morti, ma dei vi­vi. Dio “di”: in questo “di” ripetuto cinque volte è con­tenuto il motivo ultimo del­la risurrezione, il segreto del­l’eternità. Una sillaba breve come un respiro, ma che contiene la forza di un legame, indissolubile e recipro­co, e che significa: Dio ap­partiene a loro, loro appar­tengono a Dio. Così totale è il legame, che il Signore giunge a qualificar­si non con un nome proprio, ma con il nome di quanti ha amato. Il Dio più forte della morte è così umile da rite­nere i suoi amici parte inte­grante di sé. Dio di Abramo, di Isacco, di Gesù, Dio di mio padre, di mia madre... Se quei nomi, quelle persone non esisto­no più, è Dio stesso che non esiste. Se quel legame si dis­solve, è il nome stesso di Dio che si spezza. Per questo li farà risorgere: solo la nostra risurrezione farà di Dio il Pa­dre per sempre.

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