«La compassione è cosa diversa dalla pietà. La pietà suggerisce distanza, persino una certa condiscendenza. Io spesso agisco con pietà: do del denaro a un mendicante nelle strade di Toronto o di New York, ma non lo guardo negli occhi, non mi siedo con lui, non gli parlo. Sono troppo occupato per fare veramente attenzione all'uomo che mi si rivolge. Il mio denaro sostituisce la mia personale attenzione e mi dà una scusa per proseguire il mio cammino.
Compassione significa stare
vicino a chi soffre. Ma possiamo stare vicino a un'altra persona soltanto se
siamo disposti a diventare vulnerabili noi stessi. Una persona compassionevole
dice: "Sono tuo fratello; sono tua sorella; sono umano, fragile e mortale,
proprio come te. Non mi scandalizzo per le tue lacrime e non ho paura del tuo
dolore. Anch'io ho pianto. Anch'io ho sofferto". Possiamo essere con
l'altro soltanto quando l'altro cessa di essere "altro" e diventa
come noi.
È forse questa la ragione
principale per cui talvolta troviamo più facile mostrare pietà che non
compassione. La persona che soffre ci invita a diventare consapevoli della
nostra propria sofferenza. Come posso dare risposta alla solitudine di qualcuno
se non ho contatto con la mia stessa esperienza della solitudine? Come posso
essere vicino a un handicappato, se rifiuto di riconoscere i miei handicap?
Come posso essere col povero quando non sono disposto a confessare la mia
propria povertà?
Quando rifletto sulla mia vita,
mi rendo conto che i momenti di maggiore conforto e consolazione sono stati
momenti in cui qualcuno mi ha detto: "Non posso toglierti il tuo dolore,
non posso offrire una soluzione al tuo problema, ma posso prometterti che non
ti lascerò solo e starò con te finché potrò e nel modo migliore di cui sarò
capace". Vi è molta sofferenza e molto dolore nella nostra vita, ma quale
benedizione quando non dobbiamo vivere da soli il nostro dolore e la nostra
sofferenza. Questo è il dono della compassione».
da
Vivere
nello Spirito di Henri J. M. Nouwen
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