giovedì 10 marzo 2011

SAN BONAVENTURA DA BAGNOREGIO
(1217 ca-1274)


San Bonaventura, al secolo Giovanni da Fidanza, nasce intorno al 1217 a Bagnoregio, non lontano da Orvieto, nell’entroterra laziale. Da ragazzo viene colpito da una grave malattia che fa ben poco sperare; pure il padre, medico di professione, è reso impotente da tale situazione. Interviene allora la supplica della madre che si rivolge all’intercessione di san Francesco d’Assisi, da poco canonizzato. Ecco dunque la prodigiosa guarigione.
Giovanni cresce e si inoltra nello studio, affinando la sua già acuta intelligenza.
Lungo il suo periodo di studi a Parigi, entra in contatto con i frati Minori, che lo colpiscono per la radicalità evangelica e la semplicità di vita. Così, dopo il diploma di “Maestro d’Arti”, affascinato dallo stile di vita dei frati, chiede di essere accolto nella famiglia francescana. Scriverà in seguito ad un frate: «Confesso davanti a Dio che la ragione che mi ha fatto amare di più la vita del beato Francesco è che essa assomiglia agli inizi e alla crescita della Chiesa. La Chiesa cominciò con semplici pescatori, e si arricchì in seguito di dottori molto illustri e sapienti; la religione del beato Francesco non è stata stabilita dalla prudenza degli uomini, ma da Cristo».
Nel 1243 Giovanni indossa l’abito francescano, il saio, e prende il nome di frate Bonaventura. Frequenta gli studi di teologia all’Università di Parigi sotto la guida di fra Alessandro di Hales. Studia a fondo la teologia e la Sacra Scrittura, fino a diventare dottore e maestro dell’Università parigina.
Nel frattempo, in quegli anni divampa un’aspra polemica contro gli ordini Mendicanti (francescani e domenicani), nella quale frate Bonaventura pone delle tesi a favore di questa nuova realtà all’interno del mondo ecclesiale, rintuzzando ogni colpo basso sferrato dai maestri secolari dello studio di Parigi, in particolare di Guglielmo di Sant’Amore che definisce i “Mendicanti” degli “ipocriti” perché, più che condurre alla vera fede, condurrebbero la gente alla superstizione.
Ma non ci sono solo i problemi “ad extra”. Anche all’interno della famiglia francescana stessa, va sempre più diffondendosi una dottrina per niente “ortodossa” di natura spirituale che si rifà agli scritti di Gioacchino da Fiore, abate cistercense morto nel 1202. Questa allettante dottrina sostiene un ritmo trinitario della storia: Antico Testamento come età del Padre, Nuovo Testamento come tempo del Figlio e della Chiesa e, infine, l’attesa del tempo dello Spirito. Molti francescani si lasciano ammaliare (un nome su tutti: fra Gerardo da Borgo San Donnino) e individuano il tempo dello Spirito nell’avvento della storia santa di Francesco d’Assisi. Ecco che proprio fra Bonaventura, eletto ministro generale dei Frati Minori il 2 febbraio 1257 – succedendo il dimissionario frate Giovanni da Parma – si trova a fronteggiare questa delicata questione con ponderata e motivata fermezza.
Per queste e per altre delicate situazioni, fra Bonaventura mostra grande capacità di governo, insieme ad una consistente abilità intellettuale, una vasta cultura, una buona propensione al dialogo e una profonda ed intensa vita di preghiera e di unione con Dio, che pervade anche le sue numerose opere teologiche e mistiche. Uomo colmo di virtù, da ministro generale è molto attento a ciascun frate e spesso si trova in viaggio per visitare e incontrare anche i frati più lontani. La sua attenzione e il suo farsi servo per gli altri, non incide affatto talvolta sulla sua fermezza nel prendere decisioni che non sempre riscontrano l’unanimità della fraternità. Come ministro generale, pone mano alle Costituzioni dell’Ordine. Non compie un lavoro di rivoluzione, bensì un riordino delle già esistenti “pre-narbonensi” (1239), arrivando alla redazione delle “narbonensi”, approvate nel capitolo generale nel 1260 dove, tra l’altro, si fa’ assegnare il compito di scrivere una nuova biografia di san Francesco (la terza ufficiale, dopo la prima e la seconda di fra Tommaso da Celano). Fra Bonaventura scrive la “Legenda Maior”, a cui fa’ seguito la versione più breve, chiamata “Legenda Minor”, più indicata per le esigenze liturgiche. La caratteristica più evidente della “Legenda Maior” è che san Francesco viene posto in rilievo come uomo che ha cercato con tutto il cuore Cristo. Il Poverello di Assisi è un “Alter Christus”, poiché il desiderio di conformarsi al Signore Gesù Cristo ha trovato nell’assisate un instancabile e strenuo discepolo. Francesco, profondo ammiratore dell’umiltà dell’Incarnazione e della carità della Passione, porta lui stesso i segni della Passione di Cristo, le stigmate ricevute sul monte della Verna.
Anche attraverso la biografia di san Francesco, si tratteggia con più chiarezza la spiritualità tutta cristocentrica di Bonaventura. Acceso d’amore per l’Ordine dei Frati Minori e pieno di zelo per la santa madre Chiesa, fra Bonaventura, nel 1273, viene consacrato vescovo e nominato cardinale da Papa Gregorio X.
È un raffinato teologo contemporaneo a san Tommaso d’Aquino. Entrambi incidono pesantemente il pensiero teologico, non solo del XIII secolo, ma anche quello a seguire. Ci sono brani tuttora attuali e di una freschezza che paiono scritti oggi! Fra Bonaventura, dal canto suo, nell’analisi teologica, pone l’accento sul primato dell’amore divino come fine ultimo dell’uomo, laddove l’incontro con Dio è puro gaudio.
Degna di nota la ricognizione del corpo di Sant’Antonio di Padova (1195-13 giugno 1231) nell’aprile del 1263 e il ritrovamento della “lingua incorrotta”, proprio in presenza di fra Bonaventura, ministro generale.
Muore nel 1274 durante lo svolgimento del II Concilio ecumenico di Lione.
Viene proclamato santo il 14 aprile 1482 da Papa Sisto IV con la bolla “Superna caelestis patria”.

DAGLI SCRITTI

«Se ora brami sapere come ciò avvenga (la comunione mistica con Dio) interroga la grazia, non la dottrina; il desiderio, non l’intelletto; il gemito della preghiera, non lo studio della lettera; lo sposo, non il maestro; Dio, non l’uomo; la caligine, non la chiarezza; non la luce, ma il fuoco che tutto infiamma e trasporta in Dio con le forti unzioni e gli ardentissimi affetti… Entriamo nella caligini, tacitiamo gli affanni, le passioni e i fantasmi; passiamo con Cristo Crocifisso da questo mondo al Padre, affinchè, dopo averlo visto, diciamo con Filippo; ciò mi basta».

«Una completa esposizione dei comandamenti del Decalogo si rese necessaria nella condizione di peccato, perché la luce della ragione si era ottenebrata e la volontà si era sviata».

«Sorgi, anima amica di Cristo: poni le labbra là dove berrai con gioia alle fonti del Salvatore».


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