“Perché temi,
Erode, il Signore che viene? Non toglie i regni umani, chi dà il
regno dei cieli.”; così recita uno degli inni della Liturgia
delle Ore per il tempo di Natale, esprimendo efficacemente il
turbamento di quanti non attendono la manifestazione del Signore con
cuore sincero. Non l'amore, infatti, spinge Erode a curarsi del
bambino di Betlemme, ma la
paura di trovare in Dio un concorrente nella realizzazione del
proprio potere e del proprio prestigio; il
terrore di scorgere in quell'infante qualcuno al cui cospetto le
ginocchia dovranno piegarsi in segno di resa. E la paura paralizza
sempre. Non dona piedi di cerva
per correre incontro alla novità, ma rende sospettosi e inerti, più
inclini nel delegare gli altri al soddisfacimento delle proprie
curiosità. Non così invece si incamminano i Magi verso la grotta.
Non è il timore a guidarli, ma una luce; la fede che qualcosa di
straordinario si è fatto largo nella storia. L'Altissimo si è fatto
piccolo, e solo i veri cercatori di Dio sapranno scorgerlo
nell'umiltà di una mangiatoia. Tacciano allora le bocche dinanzi al
Signore bambino ed esultino di gioia e di meraviglia i cuori!
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