venerdì 1 aprile 2011

SANTA ELISABETTA DEL PORTOGALLO
(1271-1336)


Figlia di Pietro, futuro re d'Aragona, e sposa dodicenne di Dionigi re di Portogallo, sostenne con eroica abnegazione prove e difficoltà e agì come angelo di pace per appianare gravi dissidi sorti nell'ambito della famiglia e del regno. Rimasta vedova e divenuta terziaria francescana, visse gli ultimi anni nel colloquio con Dio e nella carità verso i poveri.
Elisabetta nacque a Saragozza nel 1271 da Pietro III d'Aragona, e da Costanza, figlia di Manfredi, successo al padre, l'imperatore Federico II, nel regno di Sicilia. Al fonte battesimale le fu imposto il nome della  prozia, santa Elisabetta regina d'Ungheria.
La sua infanzia durò poco, perché a dodici anni fu data in sposa al figlio del re del Portogallo e dell'Algarve, Alfonso III il Restauratore. Suo marito fu Dionisio il Liberale, anch’egli re di Portogallo e fondatore dell'Università di Coimbra e dell'Ordine del Cristo.
Alla corte della casa reale di Portogallo, Elisabetta non tralasciò le buone abitudini prese, pur non trascurando i nuovi doveri di regina e di sposa. Continuò a levarsi di buon mattino per andare in cappella alla Messa e dire l'Ufficio. Dopo pranzo ritornava in cappella per terminare l'ufficio divino, fare letture spirituali e abbandonarsi a svariate orazioni. Il tempo libero lo impegnava a confezionare suppellettili per le chiese povere con l'aiuto delle dame di corte. A queste buone opere ne aggiunse altre mano a mano che veniva a conoscenza delle pubbliche necessità. Non ci furono chiese, ospedali o monasteri alla cui costruzione ella non contribuisse con regale generosità. Alcuni ne fece costruire ella stessa a Santarém e a Coimbra.
La sua ultima fondazione fu una cappella in onore della SS. Vergine nel convento della Trinità, a Lisbona. Essa fu il primo santuario in cui si sia venerata l'Immacolata Concezione.
Anche la carità di Elisabetta per i poveri e i nobili decaduti fu incomparabile. Al suo elemosiniere aveva dato ordine di non mandare mai via nessun bisognoso a mani vuote e fece inviare dei viveri a monasteri poveri e a regioni colpite dalle avversità.
Nel 1290 Elisabetta diede alla luce una figlia, Costanza, che in seguito fu maritata a Ferdinando IV di Castiglia. L'anno dopo partorì l'erede al trono, Alfonso IV il Valoroso. Per la sua famiglia Elisabetta fu un vero angelo protettore. Ella non si accontentò di dare dei buoni consigli ai figli, ma esortò anche il marito a governare i sudditi con giustizia e mitezza senza dare ascolto ai vani discorsi degli adulatori o ai falsi rapporti degli invidiosi. Tuttavia, dopo qualche anno passato nella concordia e nella più dolce intimità con lui, cominciò per Elisabetta un vero calvario a causa degli illeciti amori ai quali il re, a poco a poco, si abbandonò. Con dolcezza cercò di ricondurlo sul retto cammino e, senza uscire in amari lamenti, spinse il suo eroismo fino a curare l'educazione dei figli naturali di lui come se fossero propri. La nobiltà, temendo che i bastardi del re acquistassero troppo ascendente nel paese, incitarono alla rivolta il figlio ereditario. Alfonso prese difatti le armi contro il padre, con immenso dolore di Elisabetta, la quale si schierò dalla parte del sovrano e cercò ripetutamente di rappacificare i due avversari. Siccome erano sordi alle sue esortazioni, ella moltiplicò le preghiere, i digiuni e anche le lettere di rimprovero al figlio.
Ciononostante cortigiani mal intenzionati giunsero a far credere al re che la sua consorte aiutava segretamente il figlio ribelle. La calunnia fu creduta dal sovrano, il quale la rinchiuse nella fortezza di Alemquer. Parecchi grandi del regno andarono ad offrirle i loro servigi, ma la Santa preferì affidarsi alle mani della divina Provvidenza anziché permettere di venire reintegrata nei suoi diritti con le armi. Il re riconobbe al fine il suo torto e richiamò Elisabetta.
La regina continuò ad adoperarsi affinché nella sua famiglia ritornasse la pace. Al tempo dell'assedio di Coimbra (1319) da parte di suo figlio, la madre si portò a cavallo in mezzo ai soldati delle opposte fazioni con un crocifisso in mano e riuscì a riconciliare padre e figlio. La guerra ricominciò più violenta poco tempo dopo a Lisbona. Elisabetta, che preferiva la pace a tutto l'oro del mondo, montò sopra una mula e si slanciò tra i due eserciti per scongiurarli con le parole e con le lacrime a scendere a patti. In quelle circostanze la Santa riuscì a pacificare per sempre i due contendenti.
Impedì anche una guerra tra suo marito e il genero, Ferdinando IV di Castiglia.
Dionisio, alla preghiera della sposa, si convertì e passò accanto a lei gli ultimi anni di vita. Dopo la morte del marito (1325), Elisabetta rinunciò al mondo, si tagliò i capelli, vestì l'abito del Terz'Ordine Francescano e andò pellegrina a San Giacomo de Compostela. In suffragio del re defunto offrì al santuario la corona d'oro che aveva portato il giorno del matrimonio. Il vescovo della città le diede in cambio un bastone di pellegrino e una borsa che la santa volle portare con sé nella tomba. Appena rientrò a corte fece fondere le sue argenterie a favore delle chiese, divise i diademi e le altre insegne regali tra la sovrana Beatrice e le sue nipoti e, a Coimbra, fece terminare la costruzione del monastero di Santa Chiara. In esso intendeva terminare la vita, ma ne fu distolta da sacerdoti per ragioni di stato e per non privare tanti poveretti dei suoi aiuti. Elisabetta si accontentò di portare sempre l'abito della penitenza e di fare costruire presso il monastero un appartamento che le consentisse, con il permesso della Santa Sede, di ritirarvisi sovente a pregare, a conversare e a pranzare con le religiose. Abitualmente ne teneva cinque con sé per la recita corale dell'ufficio e la vita in comune.
Nel pomeriggio Elisabetta dava udienza con una pazienza e una bontà illimitata ai poveri e ai malati. Per tutti aveva una parola di consolazione e un'abbondante elemosina. Nel 1333 gli abitanti di Coimbra furono ridotti dalla carestia a cibarsi di sorci. Elisabetta, senza prestare ascolto agli amministratori dei suoi beni che le raccomandavano la moderazione, fece comperare per loro grandi quantità di cibarie e provvide persino che fossero seppelliti i morti abbandonati nelle case per la grande desolazione. Quando era libera dalle opere di carità, nella notte ella si ritirava in una stanzetta segreta e lontana dagli sguardi indiscreti dava libero sfogo alle sue preghiere e alle sue contemplazioni. Altre volte andava a visitare gli ammalati nell'ospedale che aveva fatto costruire in onore di S. Elisabetta d'Ungheria e a curarli con le sue stesse mani.
L'ultimo anno di vita Elisabetta pellegrinò, una seconda volta, a San Giacomo de Compostela, con due donne. Volle fare a piedi il lungo viaggio nonostante i suoi 64 anni e mendicare di porta in porta il vitto quotidiano.
Al ritorno le fu annunziato che suo figlio, Alfonso re del Portogallo, e suo nipote Alfonso, re di Castiglia, si erano dichiarati guerra. Elisabetta si portò a Estremoz nella speranza di strappare parole di pace dalla bocca del figlio da portare al nipote in Castiglia, ma una violenta febbre non le lasciò nessuna speranza di vita. Si mise a letto, fece testamento alla presenza del figlio e della nuora e ricevette il Viatico tra sospiri e lacrime, rivestita del suo abito di penitenza. Morì il 4-7-1336 dopo aver mormorato: Maria, Mater Gratiae.
Il corpo di Elisabetta fu trasportato a Coimbra e seppellito nella chiesa delle Clarisse dove si è conservato incorrotto.
Urbano VIII la canonizzò il 24-6-1626. È commemorata il 4 luglio.
Un elemento che la caratterizza è il rosario.



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